Durante il Rinascimento, la corte estense si affermò come uno dei centri più prestigiosi d’Europa, simbolo di potere, cultura e raffinatezza. Le dame della casata, celebrate per la loro bellezza e raffinatezza nelle fonti letterarie e iconografiche, non erano semplici figure di intrattenimento: erano donne colte, raffinatissime, capaci di incidere nelle dinamiche politiche ed economiche del loro tempo. Per loro, la cosmesi non rappresentava soltanto un ornamento superficiale, ma un vero e proprio strumento di costruzione dell’immagine, funzionale all’intreccio di relazioni sociali e diplomatiche, nonché mezzo sottile ed efficace di seduzione e di esercizio del potere.

Se la cura del corpo e del volto affonda le proprie radici in epoche molto più remote, già documentate nella preistoria, è proprio tra Quattrocento e Cinquecento – in quelle corti illuminate dove le donne acquisiscono un ruolo attivo e consapevole – che il cosmetico esce dalla dimensione privata e diviene oggetto di sapere strutturato. È in questo contesto che medici, umanisti e scienziati si dedicano allo studio della bellezza con un approccio interdisciplinare, fondendo le conoscenze della medicina ufficiale con la tradizione orale e con le pratiche alchemico-spagiriche.

La rivoluzione scientifica che investe ogni campo del sapere in età moderna non risparmia neppure l’arte della cosmesi: i “belletti” e le pratiche per “rendersi amabili” iniziano ad essere indagati secondo criteri di efficacia, sicurezza ed estetica che, pur evolvendosi, restano ancora oggi di straordinaria attualità.

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